Marco Praloran Un luogo per condividere il ricordo di Marco

Marco Praloran è stato forse l’unico professore che è stato capace di trasmettermi così tanto durante gli anni universitari. La sua grande umanità, l’umile e inestimabile conoscenza della letteratura italiana e le ineguagliabili raffinatezze esemplificative sono state gli ingredienti fondamentali di questo Grande Uomo che ha saputo appassionarci sempre, minuto dopo minuto, nelle sue preziose lezioni.
Grazie “Pralo”, così ti chiamavamo e così voglio ricordarti.

G.

Nel 2006

Marco nel 2006 a casa mia a Padova.

Sergio

Certi professori sono ammirati per le loro conoscenze scientifiche: il Professore Praloran ne faceva parte. Ma aveva anche le qualità umane che facevano di lui un uomo molto amato dai suoi studenti, e mi sento onorata di averne fatto parte. Durante i cinque anni che ho trascorso nella sezione d’italiano, ho avuto l’occasione di seguire alcuni suoi corsi e seminari, e mi ricorderò di lui come di un professore simpatico, con un grande senso dell’umorismo, sorridente e appassionato dalle sue ricerche.

 
La sua scomparsa mi commuove sinceramente e lascerà senza dubbio un grande vuoto nella sezione d’italiano dell’Università di Losanna. Perciò mi unisco ai miei ex-compagni per inviarvi le mie condoglianze. Anche se le parole non possono cancellare il dolore, spero che questi messaggi mostreranno che siamo molti a condividerlo.

Sylviane

Ricordo e continuerò a ricordare il professor Marco Praloran nel suo salutarmi ogni qual volta ci si incrociava per caso nei corridoi dell’Università di Losanna. Il sorriso nei suoi occhi e in me, per un attimo, la certezza di poter ritrovare casa anche in quei labirintici percorsi. Attraverso una rivoluzione quotidiana il Professor Praloran ha saputo rendermi partecipe del lato più vero e vivo dell’apprendimento: la sua inalienabile umanità.

Noemi

Marco Praloran. La prima volta che ho letto il suo nome era in calce alla presentazione di un corso di storia della lingua italiana all’Università di Losanna. La prima volta che ho visto il suo volto era all’interno di un’aula del terzo piano dell’allora B2 a Dorigny. La prima volta che l’ho sentito parlare mi sono chiesta “che ci faccio qui”? Da allora sono passati diversi anni, ma per i primi quattro sono rimasta incollata a quei banchi losannesi, incantata dall’entusiasmo, dall’erudizione, dalla passione di Marco Praloran nei confronti degli scrittori e delle vicissitudini della lingua italiana. Non chiedetemi di raccontare aneddoti e di apporre foto. Il mio ricordo di “Pralo” (come noi studenti familiarmente lo nominavamo) è fatto di piccole porzioni, di immagini che si accavallano. Gli occhi che brillano al solo nominare Petrarca o Ariosto, la leggerezza nell’intraprendere discorsi di altissima cultura, la goffa espressione di sorpresa quando per l’ennesima volta si accorge di aver perso gli occhiali. E poi l’energia, l’entusiasmo trasmesso da quella cattedra, la sana curiosità con cui ascoltava le presentazioni dei nostri lavori, la voglia di vederci appassionati e attaccati alle nostre radici linguistiche quanto lui. Un sorriso, una parola d’incoraggiamento e una battuta per smorzare l’aria troppo seria dell’istituzione accademica non sono mai mancati nella sezione di italiano. Il professore Praloran, per me, rimarrà tale: un mosaico di momenti ed espressioni che hanno reso i miei studi migliori. E anche quando ripenso all’angoscia nel non vederlo arrivare il giorno della difesa della mia tesi di laura (il treno era in ritardo, non vi hanno avvertito? ci disse mezz’ora dopo…), non posso che sorriderne: “Pralo” era anche questo!

Il Professor Praloran è stata indiscutibilmente una gran persona, un vero maestro di vita.

Ho avuto la grande fortuna di passare molti bei momenti con lui e con la sua famiglia e penso che sia difficile scrivere un testo che in poche pagine riesca a restituire l’immagine della brava persona che era il professor Praloran. Tuttavia, ho selezionato qui alcuni momenti che si sono impressi nella mia memoria in modo particolare.

 

La prima volta che lo conobbi fu in occasione della presentazione della sezione di italiano. Si trattava della mia prima settimana all’università, tutto era nuovo; la lingua di comunicazione, lo stabile gigantesco, la miriade di compagni, i professori. Mi bastava soffermarmi a pensare di essere all’università per fomentare l’agitazione e l’ansia che si erano impadronite di me, mi sentivo spaesata e terribilmente sola. Ci fu quasi una ressa per entrare nell’aula dove si sarebbe presentata la sezione di italiano, riuscii a guadagnarmi un posto nelle prime file e piena di apprensione mi preparai ad ascoltare il discorso del direttore di sezione, che temevo sarebbe stato elitario come quello della sezione di ******. Invece Marco Praloran, prima ancora di parlare, ci sorrise e il suo sorriso, ne sono certa, rassicurò molti che come me erano agitati. Poi, con amabilità, presentò i membri della sezione di italiano, come se tutti facessero parte di una grande famiglia, spiegò con simpatia gli obiettivi e concluse con un’osservazione che mi sorprende ancora oggi: “quello che vogliamo insegnarvi è  amare lo studio, voi magari andrete in biblioteca per consultare un libro che vi servirà per la preparazione di un seminario e l’occhio vi cadrà sul libro a fianco e allora lo prenderete e incomincerete a leggerlo e amarlo… e questo vorremmo succedesse con altri libri… È questo amore per la lettura che vogliamo trasmettervi ”. Con questa frase ci aveva già impartito una  lezione di vita: non limitarsi a svolgere il proprio lavoro, la propria ricerca, senza ampliare gli orizzonti della propria mente, ma interessarsi a tutto.

Non ricordo una sola lezione noiosa del Professore, è inutile nasconderlo; può capitare che alcuni professori corrano il rischio di annoiare gli studenti, ma non è questo il caso di Marco Praloran. Egli ci deliziava con aneddoti divertenti ogni volta e con molta semplicità ci trasmetteva concetti ordinariamente “barbosi”.

Ad esempio ricordo che aveva un modo singolare e unico di riassumere “in grandi linee” la trama di una storia, come, ad esempio, “un brutto porco rapì la ragazza e il brutto porco…”.

Leggeva con trasporto, tanto che sento ancora nelle orecchie la sua voce narrare Il barone rampante: “No, e poi no!- fece Cosimo, e respinse il piatto -Via da questa tavola! Ma già Cosimo aveva voltato le spalle a tutti noi e stava uscendo dalla sala”.

Una volta, per spiegarci la relatività del tempo, citò un esempio che credo tutti conoscano e condividano: “Il tempo può passare velocemente oppure molto, ma molto lentamente, come quando siete a casa di alcuni amici che vi mostrano le diapositive delle loro vacanze e si soffermano su particolare noiosi e ritornano su diapositive già viste per migliorare la spiegazione. Il tempo non passa più”.

Aveva l’amabilità di non farti sentire mai inferiore o stupido; se non eri in grado di dare una risposta diceva “Non si preoccupi Signorina, è…” e passava alla spiegazione, se invece facevi un’osservazione giusta esordiva con un rassicurante “Molto giusto,…”.

Spesso citava i numerosi libri che aveva letto e subito ci diceva “Non dovete preoccuparvi se non conoscete tutti i testi che cito, io sono vecchio e ho avuto più tempo per leggere tutti questi libri.”

 

Avevo l’abitudine di usare avverbi come “praticamente” o “assolutamente”, un giorno a lezione ci fece riflettere sull’utilità, o meglio, sull’inutilità di questi avverbi nella maggioranza delle frasi che pronunciamo. Aveva ASSOLUTAMENTE ragione, perciò oggi cerco di tralasciarli.

 

Tuttavia i suoi insegnamenti non si sono limitati al milieu scolastico; il professore, con la sua felicità, il suo buon umore, la sua pazienza e disponibilità, ha trasmesso inconsciamente a tutti noi qualcuna di queste sue qualità. Soprattutto la pazienza, che aveva lo rendeva così unico. Infatti, Marco Praloran è l’unica persona in tutta la mia vita che io non abbia mai visto arrabbiata; non si è mai “scaldato”, e, anche se le circostanze lo avrebbero ampiamente giustificato, egli preferiva mantenere il suo sorriso e relativizzare.

Quando appresi della sua malattia rimasi sconcertata, mi posi domande sulla giustizia; quale equità può esserci al mondo se un uomo così buono e intelligente è costretto ad affrontare una malattia così subdola? Anche in questo caso Marco Praloran mi ha insegnato molto.

Andai a trovarlo e fu veramente felice di vedermi, mi chiese come stavo togliendomi così dall’imbarazzo di dover cominciare il discorso, giacché non ritenevo appropriato esordire con un “come sta?”.

La seconda volta che andai a trovarlo, mi disse che presto sarebbe uscito dall’ospedale e che gli avrebbe fatto piacere se fossi andata a trovarlo a casa. Ed è qui che il professore mi fece un gran regalo, perché a casa sua conobbi sua moglie, la cara Martina, una donna forte alla quale voglio molto bene, e Chiara, la sua dolce bambina. Ogni volta che andavo a trovarli venivo accolta in un ambiente caloroso e sebbene le circostanze fossero tristi, mai una sola volta percepii malessere e scontento in quella casa. Ho avuto così l’occasione di conoscere il Professore anche sotto l’aspetto del marito e del papà, un dolce e premuroso papà.

Una delle prime volte che andai a trovarli a casa portai loro un po’ di DVD frivoli da guardare e raccontai loro come stupidamente la sera prima, ascoltando la musica di uno di quei musical, mi fossi messa goffamente a ballare in camera senza pensare al fatto che mancassero le tende alla finestra… “non fa niente” disse lui con un sorriso. Le sue parole mi hanno sempre rassicurata.

Per me infatti è stato anche un grande amico, mi ha sostenuta nelle mie scelte, consigliata, ascoltata quando avevo dubbi o insicurezze e incoraggiata. Ricordo che in occasione di una mia supplenza fui maltrattata da un genitore che, forse per paura dei lupi, era contrario al fatto che io avessi dato da leggere al figlio Cappuccetto Rosso e per questo si ritenne in dovere di scrivermi una letteraccia. Il Professor Praloran mi chiese come stesse andando la supplenza e gli raccontai l’accaduto, lui con una sola parola pronunciata bene mi rincuorò, disse “Che stronzo!”. Altre persone avevano cercato di risollevarmi il morale, ma fu l’osservazione del Professor Praloran che mi confortò.

Oggi mi manca molto non vederlo girare per la scuola, non poter scambiare due parole con lui, non avere più la possibilità di imparare altro dalla sua grande persona e non poter più godere dei suoi preziosi consigli. Ha lasciato indubbiamente un grande vuoto, ma tutti i piacevoli ricordi che ho di lui, riescono a colmare in parte queste lacune.

La vita è piena di certezze e incertezze, di una cosa, però sono fermamente convinta: in cielo c’è un nuovo angelo dal gran cuore che si chiama Marco Praloran!

 

Addio caro Professore, un bacio dalla sua grata allieva e amica Eleonora

Rivedo con precisione i locali della biblioteca del dipartimento di italianistica dell’università di Udine. Una vera biblioteca, di quelle con gli scaffali di legno antico e l’odore di polvere. Di quelle senza i computer e tanto meraviglioso silenzio. Di quelle che ti sembrano conservare il tempo, le riflessioni, le ore di studio di coloro che ci sono passati e hanno amato quelle pagine.

Era primavera e il prof. mi aveva concesso un appello straordinario per una parte del secondo esame di letteratura italiana. Per quell’esame in realtà avrebbe dovuto esserci un’altra docente ma lui la sostituiva in sua assenza. Con la sua consueta cordialità e disponibilità, mi aveva ricevuto e avevamo concordato insieme una data che mi agevolasse con un altro esame. Avendolo già conosciuto e apprezzato molto durante un seminario, ero molto contenta di sostenere l’esame con lui e non mi aveva stupito che fosse disposto ad aiutarmi nella data.

Già quando gli avevo consegnato la tesina scritta sui saggi del Fubini sui canti leopardiani, avevamo amabilmente conversato dell’amore per la poesia e questo mi aveva disposto con maggiore serenità allo studio e alla prova.

Ma è del giorno dell’esame orale che ricordo nitido un particolare.

“Le sono piaciuti questi saggi?”.

Il professore partì da questo. Non da una domanda che verificasse il grado del mio studio nozionistico, ma da una considerazione circa il piacere di studiare dei saggi che permettono di apprezzare più profondamente quel capolavoro assoluto della poesia di leopardi.

Ne seguì una conversazione deliziosa sulla poesia in cui, messe al bando ansia e timidezza, potei elaborare i miei pensieri su una materia e un autore che amo tanto. Sentii che davvero, in quel modo, ero riuscita a esprimere il meglio di me, che lo studio di quei materiali aveva ampliato la mia percezione della poesia e la mia capacità di analisi profonda della stessa. Non ero tesa né orientata alla prestazione in sé e al voto finale: grazie all’approccio del prof. avevo potuto dimostrare la mia competenza nel disquisire di questi temi e certo avevo permesso a lui di capire le mie capacità e il mio impegno.

Provai la pura e autentica soddisfazione che regala un successo meritato. Sentì quella sensazione di auto-efficacia che motiva e spinge a continuare in modo ancor più convinto.

Lo salutai con gratitudine e lessi che anche lui era felice del risultato che io avevo ottenuto: docente e allievo realmente coinvolti in un processo di apprendimento e di crescita.

Il suo sorriso dolce e franco, i suoi modi gentili, il suo reale interesse per ciò che avevo espresso furono così diversi dall’atteggiamento di molti docenti e mi rimasero profondamente impressi.

 

Ora immagino che questo può sembrare un ricordo molto semplice e quasi riduttivo del valore di Marco Praloran come docente e studioso ma per me non lo è, soprattutto in relazione a ciò che sono diventata. Oggi, infatti, io sono una docente di lettere alla scuola secondaria e dal mio percorso di studio, oltre alle indispensabili conoscenze, ho acquisito le competenze per insegnare agli altri ciò che amo. Dai miei insegnanti ho imparato spesso ciò che non avrei dovuto fare ma, per fortuna, da altri ho potuto apprendere anche come voglio essere.

L’atteggiamento del prof. Praloran in quella occasione mi ha insegnato moltissimo. Ci ho ripensato spesso e mi ha aiutato a trovare un mio modo di approcciare i miei allievi. Un modo che ponga al centro il piacere di imparare, di scoprire, di far propri contenuti e emozioni della letteratura, che metta in condizione di esercitare davvero la propria capacità critica e che faccia sentire il coinvolgimento del docente in questo importante processo.

 

Lungo la mia strada ho avuto la fortuna di trovare persone che hanno saputo fare la differenza, anche con gesti apparentemente semplici e in tempi molto brevi. Certamente Marco Praloran è uno di questi. Avrei potuto raccontare delle sue lezioni e dei suoi insegnamenti diretti, ma questa istantanea di un momento è ciò che in realtà mi porterò sempre nel cuore di lui, con sincera gratitudine.

 

“Le sono piaciuti questi saggi?”

Sì, mi sono piaciuti tanto e mi è piaciuto incontrare il prof. Praloran, conoscerlo, apprezzarlo e imparare da lui quale insegnante vorrei essere. Certamente la sua traccia è viva nel mio percorso come in quello di molti suoi studenti e chi vive nella memoria di tanti non muore veramente.

Marta

Il ricordo del Professor Praloran è uno dei più felici e positivi dei miei anni all’università.

Una delle cose che mi colpirono subito fu quel discreto accento veneto che mi faceva spesso sorridere.

 

Il Professor Praloran era un’immensa fonte d’informazioni, conoscenza, sapere letterario e non solo. Era una persona incredibilmente modesta. Qualcuno che era capace di trasmettere tutto il suo sapere senza farlo pesare alle persone che gli stavano intorno. Un aneddoto particolare risale ad una serata speciale organizzata in sezione dagli studenti di master.

 

Durante la serata sono stati organizzati dei giochi di società e mi ricordo distintamente il Professore che diceva « questa la so, questa la so », come se non si rendesse conto del fatto che aveva saputo rispondere anche a tutte le precedenti domande.

 

Innumerevoli furono gli episodi divertenti anche in classe. Ricordo bene: lui arrivava con il suo foglio di appunti (che a malapena guardava durante il corso), parlava delle rime di Dante come se stesse parlando di una normale ricetta per fare la pasta (non perché le rime fossero evidenti, ma perché per lui, parlare di Dante era una cosa normalissima) e ogni tanto divagava e ci parlava della bella passeggiata che aveva fatto al lago durante la pausa di mezzogiorno.

 

Quel giorno poi che ci ha rivelato delle sue partite di tennis con il signor Pedroni è stato davvero comico. Per gli allievi è sempre difficile immaginarsi i propri professori in situazioni normali.

 

In poche parole, il Professor Praloran non aveva uguali. Sia per quanto riguarda la sua immensa conoscenza sia per la sua umanità. E sono convinta che tutti i suoi studenti abbiano provato, per lui, un grande affetto.

Federica

estate 1988

Il giorno che conobbi Marco

Anna

Ricordo ancora le prime settimane di università, la paura e la tensione per questa nuova vita che stava iniziando. Ancora spaurita e con l’aria persa entravo un pomeriggio d’autunno sul campus di Dorigny. Era una delle prime settimane del semestre, avevamo già avuto qualche corso. Incrocio il professor Praloran, con cui fin’ora avevo avuto pochissime ore di corso, con un sorriso mi saluta e mi dice qualcosa a riguardo del tempo, c’era un bel sole quel giorno. Il mio pensiero era stato: “chissà come fa a ricordarsi di avermi vista in aula e a riconoscermi come sua allieva?”. Mi piace ricordarlo così, come persona che amava la natura e che dava massima attenzione ai suoi studenti.

O ancora, vorrei ricordarlo come in quella Notte del racconto, in cui come un nonno ci raccontava l’Orlando innamorato, quasi fosse una favola.

G. E. S.

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