Marco Praloran Un luogo per condividere il ricordo di Marco

Pipa

 

 

Còssa m’impòrte a mi se bute a vẽnto

còssa m’impòrte a mi se xe bõnassa

coa pipa in  bõca mi vègno contẽnto

e de tabàco no ghe n’ò mai massa.

 

 

Marco individuava nel dialetto chioggiotto, 10 suoni vocalici  che si potrebbero scrivere foneticamente così :

 i, u, a, à, o, ò, õ, e, è, ẽ

 

La strofetta del pescatore gli piaceva molto.

Per un periodo fumava la pipa, poi è tornato al Toscano.

 

Paolo Gagliardi

s

1.     Il rospo è fuggito dalle mani

E poi abbiamo attraversato una città e poi, prima di un’altra, quando già la vedevamo sulla sinistra, al di là del fiume, sopra di noi, siamo saliti sulla destra per una strada tutta chiusa dalle siepi, quasi senza luce, l’asfalto scuro, bagnato. E poi siamo entrati in una piccola stradina aperta, invece, e sopra questa stradina si scorgeva una casa rossa un po’ immersa tra gli alberi. ‘Bella – ho pensato – che bella!’

 

Spariva – riappariva salendo. C’era una curva secca, la macchina ha sfiorato un muretto e tre grandi uccelli neri, proprio allora, ci hanno attraversato la via. Erano grandissimi davanti al vetro. Volavano lenti, sospesi ai refoli d’aria, come privi di forza sembravano, impotenti nel dirigere il loro volo.

E mi è parso che ci venissero quasi addosso, quasi spinti a caso su di noi… Forse era il punto di vista della  macchina che dava questa impressione.

«Corvi?», ho chiesto.

«Quasi, cornacchie! – ha detto lui, e mi è seccato un po’ avere sbagliato ma è difficile distinguere i corvi dalle cornacchie – . Stanno volentieri qua! Ci sono quasi sempre, non contano niente.»

«Ah bene», ho risposto, e poi siamo arrivati e entrati nel giardino. Era tutto chiuso ma non morto, un po’ malmesso ma vivo, come una vita silenziosa, come respirasse piano – piano, intatta…

Faceva più freddo adesso e ci siamo seduti fuori su una panchina e lui ha fatto il the.

Tutto si apriva intorno – le nuvole e la foschia dissolte – come un tuffo nel paesaggio: prima un salto, poi un grande prato pianeggiante sotto di noi, poi di nuovo risalente, quasi a pari a noi, fino alla successione allineata delle case del paese,una chiesa, il campanile, e poi ancora case e siepi, piccoli paesi più in alto, sui pendii, tutto verdeggiante. ‘Che bello!’, ho pensato. Poi mi ha portato una giacca, «di Paolo» – ‘ma chi era? Come se lo conoscessi’ – mi ha aiutato ad infilarmela, una giacca da caccia, era enorme – e siamo stati lì, abbastanza in silenzio, buoni-buoni, a fumare anche, fino a quando annottava. Lui mi parlava un po’ e io ascoltavo soprattutto.

 

Poi tutto è cominciato a diventare azzurro, non solo le montagne, anche i boschi e i prati, non solo le cime, e poi tutto grigio, un grigio metallico splendente. Avevo freddo e ho cominciato un po’ a tirare su col naso.

«Andiamo, hai freddo!», ha detto.

«No! Vorrei restare un po’ ancora.» E lui è stato contento, a me è piaciuto che lo fosse.

«Ma si!», ho pensato. E’ diventato buio, proprio quasi buio, le immagini galleggiavano appena sopra le luci accese. Poi abbiamo chiuso tutto, l’ho aiutato anch’io, e siamo scesi a mangiare nella prima città, quella un po’ più lontana, che conoscevo già, ma non vedevo da tantissimo tempo.

Non lo conoscevo per niente allora, era la prima volta che venivamo. Anche la prima volta che uscivamo insieme. Non riesco tanto a ricordarmelo, lui, quel giorno; in parte sì, ma poco, come fosse adesso una figura lontana, chiusa in quell’evento, un pezzo di lui lontano, come un po’ risolto in sé, un frammento staccato dal resto. Un’ombra?…sì un po’, senza… come il contorno di lui, ma anche diverso, come ci fosse qualcosa che da lì non è più venuto, è venuto dell’altro però. Era simpatico – eh sì, questo sì, anche allora – poi per molto tempo non l’ho più rivisto…

S

Pernici dorate

E mio nonno fumava come una tempesta, come un grande camino di fonderia era, fumava sigarette piatte, Turmac si chiamavano. E una volta mi ha accompagnato a caccia con lui, lontani in Istria, io, lui e il suo dresseur… quello che gli allenava i cani, si chiamava Zaccaria e durante il viaggio succedeva così: che lui si dimenticava di cambiare marcia e il motore rombava, rombava e lui non si accorgeva… gli guardavo la nuca dietro, era enorme, tutta spessa-spessa a pieghe, i capelli cortissimi, ma la macchina rombava come andasse a duecento all’ora, era una macchina sportiva, ma lui non si accorgeva, a cosa pensava? Non si sa, fumava, fumava ininterrottamente, perduto era nei suoi pensieri – poi ho saputo che gli piacevano le donne…forse pensava a loro…bene faceva per me, io lo amavo e anche lui – e a un certo punto, Zaccaria non resisteva  più a questo rumore, e ha detto: «Cavaliere, siamo in terza» – avevamo fatto già tanta strada, cento chilometri, e lui:«Porco dio Zaccaria, non poteva dirmelo prima!» E prendeva la leva del cambio che voleva spaccarla, farla a pezzi, dio santo, quanto matto era! E poi, vicino a Trieste, era ormai ora di colazione, e figurati lui… aveva fame e allora :«Zaccaria, Elena, mi mangerei un pesce», così diceva e io ho detto: «va bene nonno, va bene un pesce.»

Non avevo paura di lui, diletta ero, e ci siamo fermati in un bel ristorante, all’ombra per i cani. Era ancora caldo e abbiamo mangiato fuori – si vedeva il golfo, fantastico! E l’Istria lontana: linee enormi aperte sull’orizzonte, grigio e azzurro scintillanti, il respiro del mondo.

Mi piacerebbe tornare, portare le bambine, perché no?, un sabato pomeriggio, perché no? Noi tre così buffi…e tutto il ristorante si è mangiato: branzini, orate e antipasti di ogni sorta: cappe sante, cappe lunghe, peoci e bisati e bevuto e fumato sempre, mentre mangiava. Tutto il ristorante si è mangiato, e ancora avrebbe mangiato…è che bisognava partire, si faceva tardi…dava del tu ai camerieri – adesso non si fa più, forse a Roma ancora: ‘portame questo, portame st’altro’, – ma non per disprezzo, no!, per convenzione, per civiltà,così, – e anch’io ho mangiato tanto e anche Mario Zaccaria, molto simpatico, in sé, signore anche lui, costruiva pipe in radica…e alla fine eravamo distrutti dal mangiare – distrutti…lui no – e siamo ripartiti nel pomeriggio dorato e siamo arrivati vicino a Pola prima di sera, Pola o Fiume…no! Pola era: «mi vegno da Pola / me fermo un momento / signori italiani / lasseme passar».

Era simpatico, sin pa ti co anche lui, credo, Noventa…come il nonno…chi mi ha raccontato che si incazzava con la moglie perché  sbagliava a bridge? E si incazzava così tanto che urlava e imprecava come un pazzo e il nipote che assisteva alle partite – me l’ha raccontato lui forse – ha avuto uno shock e ‘mai – si è detto, di fronte all’ira dello zio – mai giocherò a bridge nella mia vita’ … un po’ strano era però, forse, il nipote. E abbiamo viaggiato attraverso l’Istria, terra bellissima e siamo arrivati di sera…e ho dormito nella mia cameretta d’albergo davanti al mare. Non  potevo dormire con lui perché russava furiosamente …nessuno poteva dormirci, e le sue donne? Boh! E poi la mattina dopo siamo andati a caccia, a pernici, sulle colline davanti al mare, tra i vigneti, i piccoli campi, i muretti a secco, i boschi in parte.

    

Era bellissimo, da toccare il cuore, e i cani, i pointer di mio nonno, volavano, saette bianco-arancio, volavano e si incrociavano …via via…sempre via via, e andavano lontano – lontano, linee zigzaganti e poi in un attimo erano di nuovo qui, e nessuno li guidava … così loro – per perfetta maestria – facevano.

   

E ogni tanto fermavano – ero emozionata – immobili, spasmodici, come una violenza bloccata, sospesa a forza, gli occhi spalancati …dio santo, bello però e poi il frullo – che paura, che rumore di volare insieme – e gli spari, e una, o più raramente due, cadevano e il nonno :  «Maledizione! Porco dio…ma anche lei Zaccaria, anche lei…» Perché Mario Zaccaria tirava bene – ma anche lui sbagliava ogni tanto – e il nonno no, ma in realtà non gli importava, gli piaceva veder lavorare i suoi cani, quei cani meravigliosi.

 

E poi ero anche stanca di camminare e mio nonno ha detto alla guida – non mi ricordo il nome ma un nome italiano – «prendila in braccio!». E lui gentile, ero leggerissima allora, mi ha preso sulle spalle come fossi proprio una bambinetta e io protestavo, mi vergognavo, ma il nonno voleva così … e dall’alto ora vedevo quel mondo bellissimo e sentivo su di me il caldo delle spalle, il sudore, e con lui parlavamo piano per non disturbare la caccia e mi chiedeva della scuola, degli amici. Era simpaticissimo e poi diceva: «il cavaliere, ah il cavaliere!». Ma lo diceva con affetto – il nonno era generoso credo – poi a un certo punto abbiamo mangiato…  da dove arrivava la roba? Perché improvvisamente in una buca – ci sono tutte quelle buche , lì – è arrivata tantissima roba, un banchetto davvero, e una tovaglia bianca… da dove veniva, chi la portava? Déjeuner su l’herbe…altro che! Un pranzo nuziale era, e tutti mangiavamo con appetito …prosciutti, culatelli, soppresse, reggiano e mele gigantesche…

E poi assaporavamo la stanchezza – oblio del pomeriggio, luce calda che ti avvolge e la felicità nell’essere insieme congiunti e mio nonno cantava un’aria – cos’era, un racconto di Cechov? No! Oblomov, inimmaginabile, quel film di Michalkov… – cantava un’aria e la voce cresceva, cresceva, aumentava, si allungava per i campi. E io, dopo un po’ piangevo tra me, appena …di felicità, nostalgia di cose perdute…il timore confuso, queste, di non vederle mai più…ma una volta poi le avrei riviste invece… ma quando mio nonno smetteva, mi cercava con gli occhi, girava il suo collo enorme e solo me, solo me guardava…commuovendoci per amore.

 

Mi vegno da Pola

Mi vegno da Pola,

Son qua pa’ un momento,

Signore e Signori,

No’ féme parlar!

 

Gò perso la barca

I povari Inglesi

Ghe n’à cussì poche…

La barca gò dà.

 

Mi vegno da Pola,

Son qua pa’ un momento,

Signore e Signori,

No’ féme parlar!

 

Gò perso la casa.

I povari S-ciavi

No’ i gèra in tel suo…

La casa gò dà.

 

Mi vegno da Pola,

Son qua pa’ un momento,

Signore e Signori,

No’ féme parlar!

 

Gò perso i me morti.

La povara Italia

Xe tanto distràta…

I morti gò dà.

 

Mi vegno da Pola,

Son qua pa’ un momento,

Signore e Signori,

No’ féme parlar!

 

No’ gò la me casa – No’ gò la me barca,

No’ vogio fermarme – Né in tèra, né in mar,

No’ so se i me morti – Sarà benedeti…,

Signori Italiani – Lasséme passar!

 

 

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