Rivedo con precisione i locali della biblioteca del dipartimento di italianistica dell’università di Udine. Una vera biblioteca, di quelle con gli scaffali di legno antico e l’odore di polvere. Di quelle senza i computer e tanto meraviglioso silenzio. Di quelle che ti sembrano conservare il tempo, le riflessioni, le ore di studio di coloro che ci sono passati e hanno amato quelle pagine.

Era primavera e il prof. mi aveva concesso un appello straordinario per una parte del secondo esame di letteratura italiana. Per quell’esame in realtà avrebbe dovuto esserci un’altra docente ma lui la sostituiva in sua assenza. Con la sua consueta cordialità e disponibilità, mi aveva ricevuto e avevamo concordato insieme una data che mi agevolasse con un altro esame. Avendolo già conosciuto e apprezzato molto durante un seminario, ero molto contenta di sostenere l’esame con lui e non mi aveva stupito che fosse disposto ad aiutarmi nella data.

Già quando gli avevo consegnato la tesina scritta sui saggi del Fubini sui canti leopardiani, avevamo amabilmente conversato dell’amore per la poesia e questo mi aveva disposto con maggiore serenità allo studio e alla prova.

Ma è del giorno dell’esame orale che ricordo nitido un particolare.

“Le sono piaciuti questi saggi?”.

Il professore partì da questo. Non da una domanda che verificasse il grado del mio studio nozionistico, ma da una considerazione circa il piacere di studiare dei saggi che permettono di apprezzare più profondamente quel capolavoro assoluto della poesia di leopardi.

Ne seguì una conversazione deliziosa sulla poesia in cui, messe al bando ansia e timidezza, potei elaborare i miei pensieri su una materia e un autore che amo tanto. Sentii che davvero, in quel modo, ero riuscita a esprimere il meglio di me, che lo studio di quei materiali aveva ampliato la mia percezione della poesia e la mia capacità di analisi profonda della stessa. Non ero tesa né orientata alla prestazione in sé e al voto finale: grazie all’approccio del prof. avevo potuto dimostrare la mia competenza nel disquisire di questi temi e certo avevo permesso a lui di capire le mie capacità e il mio impegno.

Provai la pura e autentica soddisfazione che regala un successo meritato. Sentì quella sensazione di auto-efficacia che motiva e spinge a continuare in modo ancor più convinto.

Lo salutai con gratitudine e lessi che anche lui era felice del risultato che io avevo ottenuto: docente e allievo realmente coinvolti in un processo di apprendimento e di crescita.

Il suo sorriso dolce e franco, i suoi modi gentili, il suo reale interesse per ciò che avevo espresso furono così diversi dall’atteggiamento di molti docenti e mi rimasero profondamente impressi.

 

Ora immagino che questo può sembrare un ricordo molto semplice e quasi riduttivo del valore di Marco Praloran come docente e studioso ma per me non lo è, soprattutto in relazione a ciò che sono diventata. Oggi, infatti, io sono una docente di lettere alla scuola secondaria e dal mio percorso di studio, oltre alle indispensabili conoscenze, ho acquisito le competenze per insegnare agli altri ciò che amo. Dai miei insegnanti ho imparato spesso ciò che non avrei dovuto fare ma, per fortuna, da altri ho potuto apprendere anche come voglio essere.

L’atteggiamento del prof. Praloran in quella occasione mi ha insegnato moltissimo. Ci ho ripensato spesso e mi ha aiutato a trovare un mio modo di approcciare i miei allievi. Un modo che ponga al centro il piacere di imparare, di scoprire, di far propri contenuti e emozioni della letteratura, che metta in condizione di esercitare davvero la propria capacità critica e che faccia sentire il coinvolgimento del docente in questo importante processo.

 

Lungo la mia strada ho avuto la fortuna di trovare persone che hanno saputo fare la differenza, anche con gesti apparentemente semplici e in tempi molto brevi. Certamente Marco Praloran è uno di questi. Avrei potuto raccontare delle sue lezioni e dei suoi insegnamenti diretti, ma questa istantanea di un momento è ciò che in realtà mi porterò sempre nel cuore di lui, con sincera gratitudine.

 

“Le sono piaciuti questi saggi?”

Sì, mi sono piaciuti tanto e mi è piaciuto incontrare il prof. Praloran, conoscerlo, apprezzarlo e imparare da lui quale insegnante vorrei essere. Certamente la sua traccia è viva nel mio percorso come in quello di molti suoi studenti e chi vive nella memoria di tanti non muore veramente.

Marta