Marco Praloran Un luogo per condividere il ricordo di Marco

Audio della lezione su Noventa

su il seguente link troverete integralmente la lezione tenuta da Marco sulla “Poesia dialettale di Gaicomo Noventa” il Venerdì 9 Aprile 2010 presso la Fabbrica Saccardo

 

 

breve clip: lezione su Noventa presso la Fabbrica Saccardo Venerdì 9 Aprile 2010

Fabbrica Saccardo, videoclip

 

Tra gli altri Fabio, Belinda, Luciano

 

passaporto….

Tre ricordi di Emilio Torchio

Tra le cose belle degli incontri di Gargnano, organizzati dal Dipartimento
di Filologia moderna di Milano, c’è che si pranza tutti insieme in ampie
tavolate. E così capita che un neolaureato si sieda accanto a un
professore. Nel settembre 2000 il convegno era su Bembo e mi sono
ritrovato vicino a Praloran. A fine pasto, lui prende un toscano e lo
scartoccia. Ero curioso di vedere il suo trinciasigari, che per un
fumatore è un accessorio come la pochette o l’orologio per il dandy: ne
esistono di fogge innumerevoli, d’argento e di plasticaccia, con una, due
o addirittura tre lame. (Nei film americani, i manager spietati ne tengono
uno a forma di ghigliottina davanti agli occhi di chi si è seduto alla
loro scrivania). Praloran inizia ad ammezzare il toscano incidendolo sulla
pancia, con l’unghia del pollice destro: è lento, meticoloso. Parla con il
suo vicino, guarda il sigaro e continua. Pensavo gli si sarebbe
sbriciolato tra le mani. Lui parlava, sorrideva, e approfondiva il solco
torno torno il toscano. A un certo punto lo prende tra pollice e indice
delle due mani e, con delicatezza, separa le due metà. Non un taglio
netto: qualche foglia spunta da una parte e dall’altra: erano due mezzi
dall’aspetto rustico, campagnolo, da cacciatore con la doppietta in
spalla.

Un paio d’anni dopo Gargnano, collaboravo all’Archivio Metrico Italiano.
Facevo la scansione di versi di Tebaldeo. Avevo parecchie incertezze:
molti versi mi pareva avessero tre accenti consecutivi, il che – secondo
le regole stabilite – non poteva essere. Avevo chiesto a Praloran se
potessi parlargliene. E così, una mattina, mi presento con il plico di
fogli e inizio a fargli leggere i casi dubbi. È perplesso anche lui: va un
po’ a lume di naso. Dopo quattro o cinque dà qualche segno di
insofferenza. Ancora un paio e mi dice “vabbè, fai tu: e che questo
Tebaldeo imparasse a fare versi”.

Passano pochi mesi: viene l’aprile, mese delle Lecturae Petrarce. Praloran
legge la canzone CXXV. Mica niente. Avevo seguito qualche sua lezione
all’università ed ero incantato dalla sua actio: l’accento veneto, il
sorriso, la timidezza autoironica, la battuta gentile, l’understatement.
Una disinvoltura impacciata che non si impara: e se le impari, si vede che
reciti e suoni falso.
Quando Praloran arriva nella sala, mi sembra agitato. “Strano” penso “non
sarà mica perché deve parlare”. In fin dei conti, non lo conoscevo quasi:
probabilmente mi sbagliavo. Lo presentano e poi inizia: introduce
l’argomento, la prende alla larga, fa qualche riferimento. Si ferma un
attimo: “mi spiace non potervi citare con esattezza questo luogo
petrarchesco. Però… prima di uscire di casa… ho fatto un’ultima
lettura del mio testo… e mi sono scordato i fogli in cucina”.
In cucina. Avete presente dove si tengono le Lecturae? Sala affrescata,
divani di pelle, poltroncine eleganti, velluto, un’aria un po’ spettrale
da gipsoteca (quando sali le scale, ti aspetti di vedere un’ombra in
lucco e berretta, che scuota la testa e mormori improperi in latino).
Pensi che, se mai fosse toccato a te, avresti stampato cinque copie
dell’intervento e ne avresti messo una tra la canottiera e la camicia,
perché non si sa mai. E, invece, immagini Praloran in cucina: sta
rileggendo il suo intervento mentre beve un caffè, pensa di essere in
ritardo, si mette il cappotto ed esce di fretta. I fogli rimangono
sull’incerata a quadri, tra le bucce di mela e la tazzina. Dimenticare
Petrarca in tinello… certe cose non si imparano, sennò suoni falso.

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