Non mi è mai venuto in mente di conservare qualcosa di Marco; di mettere in salvo cose che mi servissero a ricordarlo! Da quando non c’è più, invece, sento la necessità di raccogliere la sua memoria per fissarla; per non rischiare di perdere ciò che di lui mi resta.

Nei primissimi tempi la ricerca era fisica: cercare tracce concrete di Marco. Il suo volto sulle fotografie; la sua scrittura nei libri che mi ha regalato; la sua voce in casuali registrazioni; magari qualche traccia su internet; il segnalibro nel volume sugli uccelli svizzeri che leggeva sempre quando veniva a casa (il segnalibro è rimasto tra le pagine dedicate alle anatre).

Ma la ricerca era vana e dannosa: perché ciò che mi riportava alla sua concretezza, alla sua persona fisica, alle cose che aveva toccato, non solo non mi bastava a restituirne la presenza ma soprattutto mi provocava un sentimento di vuoto, enorme; tutto ciò rendeva ancora più triste la sua scomparsa.

Allora ho cominciato – quasi senza rendermene conto, quasi a protezione di me stesso – a trasferire la ricerca nella mia mente e a staccarmi quanto più potevo dal Marco in carne e ossa: pensavo a Marco come ad una astrazione fatta di intelligenza, di dolcezza, di generosità, di fragilità, di conoscenza, di passione. Il mio Marco – in questa fase – vagava in uno spazio lontano dalla realtà; dal nostro comune vissuto. E anche questo però non mi bastava.

Sono ridisceso sulla terra per cercare il Marco da antologia: quello che mi aveva regalato momenti indimenticabili, a me e a tutti coloro che l’avevano frequentato. Quei momenti unici che sottolineavano il suo essere speciale. Sia dentro che fuori l’università. Il fatto è che per Marco non c’era veramente un dentro o un fuori: il professore sparava alle beccacce e il cacciatore parlava dalla cattedra; i ritmi del metricologo riecheggiavano sul campo da tennis; l’epica e la cavalleria sostenevano le gesta del calciatore. Umanità e cultura erano tutt’uno in lui: grande umanità e grande cultura.

Il bagaglio culturale: non c’è espressione più sbagliata per definire la cultura di Marco. Perché la sua cultura, Marco, non se la portava addosso: gli scorreva dentro. E non c’era per lui distinzione tra le culture: la cultura letteraria, musicale, venatoria, sportiva, politica, ogni forma di cultura contava nello stesso modo… Certo: contava nello stesso modo, ma dopo che aveva soddisfatto il suo non comune senso della qualità. Solo chi ha conosciuto Marco può intuire la complessità di questo filtro qualitativo.

Di fatto, mi sono reso conto che anche questa pista era sbagliata: non c’erano momenti più memorabili degli altri: come in un’antologia o in una hit parade.

Quello che mi manca di Marco è la routine dell’amicizia. Dei gesti e delle parole che pur ripetendosi, significano sempre qualcosa, come stima reciproca, piacere di stare insieme, condivisione delle passioni, dell’ironia, del bel tempo. Quei gesti e quelle parole che si scambiano tra amici.

Mi mancano le sue pacche sulle spalle: tre colpetti veloci e leggeri col palmo, senza dire nulla, tra la porta della sezione e le scale, quando s’andava a bere qualcosa in caffetteria. Era il suo modo per salutarmi, per comunicarmi il suo affetto. E lui avrebbe bevuto un tè verde che non avrebbe finito, come sempre.

Mi manca il lancio della sua racchetta, che regolarmente volava in rete, quando sbagliava dei colpi che avrebbe voluto riuscire: non la scagliava; la lanciava con tenerezza, facendola roteare morbidamente come un frisbee. Un gesto di stizza di cui poi si pentiva subito, rievocando mitici episodi del tennis d’altri tempi.

Mi manca di vederlo appoggiato al lavello, nella sua cucina, dopo una cena tra amici. Con il sigaro in bocca, che lava i piatti e rifiuta che lo aiuti.

Mi mancano alcune parole di Marco, con le quali riusciva a farmi dimenticare la concretezza della vita: parole stranianti, assurde, come il suo grido di battaglia “Bibì Bibò e il Capitan Coccoricò”.

Come quella sua domanda, quasi quotidiana, che ci lasciava attoniti, immediatamente seguita da un nome altisonante o favoloso o misteriosamente evocativo. Marco spesso ci chiedeva: “Che Santo è oggi?”. Sarebbe stato contento di sapere che tra i santi di oggi ci sono “San Gemello di Ancìra” e “San Luca di Melicuccà”.

Matteo